Elefanti asiatici: corde, catene, fruste, bastoni, uncini ….

…. e scosse elettriche (la foto di copertina è stata presa dalla “Rete”).

Tra le tante specie animali sfruttate dall’uomo gli elefanti si trovano ai primi posti. Attualmente ci sono tre specie di elefanti: l’elefante asiatico (Elephas maximus) con quattro sottospecie viventi e due estinte, l’elefante africano (Loxodonta africana) e l’elefante africano delle foreste (Loxodonta cyclotis), precedentemente considerata una sottospecie di L. africana. Se gli elefanti africani sono in pericolo a causa di una caccia spietata per l’avorio, i loro cugini asiatici se la passano anche peggio perché, sfruttati per “esigenze umane”, vengono torturati a vita. Come può un essere di 80/90 Kg. ottenere ubbidienza totale da uno che ne pesa oltre 3000? La risposta è semplice da intuire: con la violenza. Quando è ancora cucciolo bisogna annullare la mente, cancellare i ricordi e la natura. Dalla sua mente saranno cancellati la foresta, il branco, la sua mamma ed ecco che un essere, dotato di un’incredibile intelligenza e di una proverbiale memoria, viene trasformato in un ammasso di muscoli torturato a vita pronto all’obbedienza. Uno schiavo.

Parte I: il lavoro. In un documentario del 2000 di NATIONAL GEOGRAPHIC l’elefante viene definito “macchina vivente”. E’ proprio in questo documentario, ambientato in Myanmar, che viene ampiamente mostrata tutta la sofferenza che questi animali devono patire. Gli elefanti operai, che sono di proprietà del governo, vengono impiegati nei lavori di disboscamento delle foreste di tek ed ogni esemplare è accudito da un contadino (uzi). I guardiani stimolano gli elefanti premendo sulla rete di nervi sensibili situati dietro le orecchie per impartirgli i comandi. Il lavoro è durissimo: bisogna spostare tronchi molto pesanti, su terreni impervi, per grandi distanze e all’occorrenza creare apposite piste spostando dei grandi massi.

Gli elefanti devono anche “trasportare” i loro compagni morti per la fatica e i maltrattamenti. Quest’ultimo “lavoro” è stressante non solo fisicamente, ma anche psicologicamente perché gli elefanti, sono affettivamente molto legati ai membri del proprio branco. Oltre alla fatica non mancano ulteriori maltrattamenti. Un elefante libero vive circa settant’anni, uno schiavizzato arriva a stento a sessanta. La cosa peggiore, però, è quando gli elefanti giovani vengono catturati e portati nei villaggi dove saranno domati e addestrati con metodi coercitivi molto violenti e con grande sofferenza fisica e psicologica del povero animale. L’elefantino catturato, infatti, viene immobilizzato per essere sottoposto a contatti umani, rumori e torture fino ad annullare qualsiasi resistenza.

Elefantino imbracato ed immobilizzato in attesa che riprendano le torture (foto presa dalla “Rete”).

Ecco le principali fasi che porteranno alla schiavitù un elefantino. Il governo decide di catturare dei cuccioli e manda sul posto, dove è stata segnalata la presenza di un branco che potrebbe essere una potenziale minaccia per le colture, dei cercatori che hanno il compito di localizzare gli animali. Dopo che è stato individuato il branco, vengono mandati dei cacciatori su altri elefanti docili ed obbedienti perché già schiavizzati. Quando i cacciatori sono vicino al branco dal quale si vuole rapire qualche cucciolo, si isola un esemplare e gli si spara un dardo narcotizzante, quando l’elefantino cade al suolo gli viene somministrata una droga per rianimarlo. Il suo branco ormai è fuggito spaventato. L’elefantino al suo risveglio si troverà legato ad un altro elefante scortato come un prigioniero fuori dalla foresta; finirà nel campo degli uzi dove sarà domato e addestrato. Il povero animale verrà legato ed imbracato e per tutta la notte verrà sottoposto a rumori e contatti con l’uomo fino a spingere la sua mente al limite della resistenza. Considerando che trattasi di un animale selvatico e che non è mai stato toccato dall’uomo il solo contatto è una violenza al suo sistema nervoso, ma non sarà solo toccato con tante mani! Verrà colpito con bastoni alla cui estremità vengono inseriti dei ferri appuntiti, verrà morso agli orecchi (organi molto sensibili) fino a farli sanguinare, verrà colpito con i piedi da persone che gli saliranno sulla testa e sulla schiena e verrà colpito con ferri uncinati molto appuntiti sulla testa ormai sanguinante. Chissà cosa penserà il povero cucciolo che poche ore prima era nella foresta, con la sua mamma e col resto del branco. Forse non pensa perché la sofferenza è troppa. Tutto ciò, la doma, durerà una settimana fin quando non si otterrà una sottomissione totale. Seguiranno lunghi mesi di “tirocinio” durante i quali alcuni elefanti muoiono ed altri impazziscono. Anche i pochi elefanti nati in cattività, all’età di quattro anni, subiranno le stesse torture. Tutto ciò è inaccettabile.

Il documentario di NATIONAL GEOGRAPHIC suggerisce anche come salvare gli elefanti, la foresta e gli agricoltori: basterebbe concedere dei territori agli elefanti (il loro habitat si riduce sempre di più a causa dell’antropizzazione) e creare una rete di ampie zone di foresta protetta dallo sfruttamento illegale e da altre aggressioni. Questi santuari potrebbero essere autosufficienti e contribuire al sostentamento delle popolazioni locali; così si scoprirà che la conservazione degli elefanti liberi è una risorsa altrettanto preziosa come il riso e il legname.

Non acquistate mobili ed altri oggetti realizzati con legname “esotico”: non contribuirete alla distruzione delle foreste e non sarete complici di tanta crudeltà.

Parte II: il turismo. Queste le condizioni degli elefanti usati per il turismo in Thailandia e rispecchiano quelle degli elefanti che vengono sfruttati per lo stesso motivo anche in altri paesi. La crudele pratica di addestramento, considerata una cerimonia, si chiama phajaan il cui significato è sufficiente a far capire l’enorme e ripetuta sofferenza a cui viene sottoposto un elefantino. Phajaan significa frantumare lo spirito dell’elefante. L’addestramento è simile a quello già descritto per gli “elefanti da lavoro”. Quando l’elefante è “pronto” può trasportare, a dorso, simpatici turisti tanto ignoranti quanto insensibili un po’ ovunque. Città comprese, dove subiranno ulteriore stress dai rumori, dalle vibrazioni e dalle luci; tutti stimoli innaturali per un elefante che dovrebbe vivere con il suo branco nella foresta.

Il povero animale può anche essere addestrato a mendicare del cibo che i simpatici turisti acquistano dall’aguzzino e poi danno all’elefante per farsi immortalare quando l’animale allunga la proboscide per accettare il cibo. La scena è tragica: uno schiavo, il suo aguzzino ed una manciata di stupidi in cerca di emozioni. Gli elefanti in città spesso sono malati a causa dell’inquinamento e denutriti.

Un elefante denutrito: gli resta ben poco da vivere(foto presa dalla “Rete”).

Questi possenti mammiferi, che vivono perennemente incatenati potendosi muovere solo quando trasportano i gentili turisti, spesso tentano la fuga. Invano. C’è da precisare che a tutta questa sofferenza si deve aggiungere il taglio delle zanne perché pure il prezioso avorio frutta bei soldi. Gli elefanti vengono utilizzati anche per spettacoli di intrattenimento sempre affollati da bravi turisti. Detti spettacoli sono dei veri e propri numeri da circo, ma di questo mi occuperò nella Parte III: i circhi. E’ stato segnalato che molto spesso, durante le fasi di addestramento, gli elefanti smettono di nutrirsi. Il suicidio non è una pratica prevista dalla Natura, ma il dolore è tanto forte che è meglio morire.  Ci sono dei centri per il recupero degli elefanti maltrattati (conservation camps), ma bisogna documentarsi bene sulla loro reale efficienza perché molti di essi li utilizzano per il turismo, sfruttandoli e di conservazione non fanno assolutamente nulla. Quelli seri esistono, ma di certo non propongono escursioni a dorso di elefante.

Non partecipate ad esperienze turistiche che impiegano qualsiasi specie di animale e non sarete complici di tanta crudeltà.

Parte III: i circhi. Nei circhi è rara la presenza di elefanti africani, quasi sempre quelli usati per gli spettacoli sono elefanti asiatici, ma il trattamento è lo stesso. La filosofia del domatore è una: l’animale deve assecondare l’uomo o morire.

Le tecniche di addestramento sono diverse a seconda dell’esercizio che si vuole insegnare all’animale. Per far alzare un elefante sulle zampe posteriori, ad esempio, gli viene appoggiato un ferro rovente sotto la gola. L’azione viene ripetuta moltissime volte affinché il povero animale non impara, per riflesso, che a quel gesto del domatore deve rispondere con una determinata azione; ed ecco che durante lo spettacolo in presenza del pubblico non è più necessario il ferro rovente, ma è sufficiente un bastone per ricordare il dolore provato durante l’addestramento. Alcuni anni fa venne alla luce il crudele trattamento riservato agli elefanti cuccioli per l’addestramento da circo. Gli elefantini subivano atroci torture con corde, bastoni e bullhook fin quando non imparavano a compiere determinati movimenti per loro innaturali, ma evidentemente divertenti per un pubblico ignorante ed insensibile. Basta dare il giusto nome ad una struttura e si può fare qualsiasi cosa. Il posto dove vengono addestrati gli elefanti, infatti, si chiama “Centro per la conservazione degli elefanti” e si trova negli USA, in Florida. Attualmente non dispongo di informazioni su che fine abbia fatto questo centro di tortura. In queste strutture i poveri elefantini vengono sottoposti al “crushing” ampiamente in uso in Cambogia e Thailandia. Durante questo addestramento i cuccioli, per essere sottomessi psicologicamente, vengono legati con corde al collo, al busto e alle zampe. Vengono poi lasciati senza cibo, frustati e lasciati senza dormire affinché smettano di lottare piegandosi all’uomo (nelle foto che seguono, prese dalla “Rete”, alcune fasi di addestramento degli elefanti).

Per fortuna esistono anche posti in cui gli elefanti che hanno subito maltrattamenti da circo vengono davvero tutelati come l’ Elephant Sanctuary, nel Tennessee.

Elephant Walking at The Elephant Sanctuary in Tennessee (foto presa dalla “Rete).

In questo rifugio gli elefanti vengono lasciati liberi come se stessero in Natura.

Non andate a spettacoli circensi che impiegano qualsiasi specie di animale e non sarete complici di tanta crudeltà.

Se si presta attenzione si nota che quasi sempre colui che “gestisce” un elefante è munito di un bastone con un uncino all’estremità, il bullhook (ma ha anche altri nomi). Nei circhi l’uncino viene camuffato con nastri colorati. Questo uncino viene usato per colpire il povero animale dietro le orecchie, intorno agli occhi e alla bocca e sulle zampe; parti in cui la pelle è più sensibile. In questi punti, infatti, a causa dei ripetuti colpi ricevuti, la pelle è depigmentata. Talvolta le orecchie sono a brandelli.

Il bullhook in uso (foto presa dalla “Rete”).

Mi sono limitato a descrivere parte delle torture e le condizioni a cui vengono sottoposti gli elefanti sfruttati per il lavoro e l’intrattenimento, senza esprimere il disprezzo che provo per chi effettua tali brutalià e per chi usufruisce, per svago, della sofferenza di questi animali. Non mi sono espresso in tal senso semplicemente per decenza.

Fonti:   National Geographic video “Il regno degli elefanti”   http://www.viaggiarelibera.com/   http://www.mangiaviviviaggia.com/  http://www.termoliwild.it/   http://www.oipa.org/   http://www.perdavvero.com/  http://www.amoreaquattrozampe.it/

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3 pensieri riguardo “Elefanti asiatici: corde, catene, fruste, bastoni, uncini ….

  1. HO TROPPO DOLORE NEL MIO CUORE VEDERE QUESTE POVERE CREATURE TORYURATE COSÌ..MA DOVE ANCORA VUOLE ARTIVARE L ATROCITÀ E CATTIVERIA UMANA? MA X LE AUTORITÀ NON METTONO FINE A QUESTO SCEMPIO? IO SONO SENZA PAROLE… È UNA VERGOGNAAA E VERGOGNOSO 😥😥😥😥🙏

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